TIMEWARP : Viaggio alle origini dell’hip hop

di Daniele Scremin

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Per prima cosa controllate di aver allacciato per bene la tuta di contenimento.

Il microscanner da polso sta monitorando al meglio tutte le vostre funzioni vitali e all’interno della capsula di vetro le uniche cose che riuscite a distinguere all’esterno sono piccole luci intermittenti e la spettrale luminescenza di un monitor azzurrognolo.

Poi il pavimento sotto di voi inizia ad emanare una strana luce che sembra correre intorno ai vostri piedi in un moto sempre piu’ vorticoso. La luce aumenta e con essa un ronzio ovattato pervade le vostre orecchie.
Il teletrasporto sta iniziando.

Solo una trentina di anni fa tutto cio’ sarebbe sembrata una follia degna di uno scrittore di riviste di fantascienza come il National Enquirer ma ora dopo le incredibili scoperte in campo quantico del 2063 d. C. tutto ha assunto una connotazione reale.
Certo, per una decina di anni tutto rimase avvolto in un alone di riservatezza dedicata fondamentalmente alla sperimentazione e ad eventuali effetti collaterali, ma come avvenne con l’introduzione dei telefoni cellulari verso la fine del 1900 ben presto la microtransposizione molecolare ,comunemente nota come teletrasporto, divenne un fenomeno prima riservato a pochi coraggiosi e poi un fenomeno di costume.

Certo, anche oggi non tutti possono permettersi la propria cabina di trasposizione nel salotto di casa ma e’ anche vero che i CETOC (centri di trasferimento organico computerizzato) sono praticamente ovunque e accessibili a costi moderati.

Io ormai sono vecchio e molto spesso preferisco passare le mie mattinate a passeggiare nel vialetto dietro casa mia o tentare di far abboccare qualche pesce all’amo , nonostante da anni sia assolutamente vietato mangiare cibi ( e quindi anche animali) che non siano stati ufficialmente riconosciuti transgenici; ma la scorsa mattina quando avete bussato alla mia porta mi avete colto di sorpresa.
L’idea e’ stata accolta prima con scetticismo, poi con una partecipazione sempre crescente finche’ ora, chiusi entrambi nelle nostre cabine di trasferimento mi guardate con occhi un po’ smarriti e sembra quasi che sia stato io a proporre a voi questo viaggio nel tempo…e nello spazio.

Il mio nome e’ Daniele e per quasi vent’anni della mia vita ho insegnato Hip Hop e Funky in scuole di danza e palestre a ragazzi che all’inizio rimanevano per lo piu’ affascinati dagli strambi movimenti di quella danza come La Scossa (che era in grado di farti sembrare assolutamente privo di ossa e attraversato da corrente elettrica) o la Tartaruga dove tutto il peso del corpo restava in bilico sui polsi oppure semplicemente desiderosi di capire le movenze dei loro idoli che ancheggiavano ammiccando nelle piu’ disparate emittenti televisive del pianeta.

Poi pero’ queste cose le vedevo cambiare, giorno dopo giorno vedevo crescere nei ragazzi la consapevolezza di riuscire in quello che all’inizio sembrava per loro un obiettivo cosi’ lontano, li vedevo desiderosi di apprendere perche’ in loro nasceva una nuova consapevolezza: quella di aver capito che ballare era piacevole, divertente e soprattutto liberatorio.
Vedevo il loro entusiasmo nel tentare e ritentare un movimento particolarmente complicato alla ricerca della perfetta sincronia con la musica ma soprattutto vedevo nascere l’affiatamento di un gruppo di persone prima tra loro estranee che condividevano lo scopo comune di realizzare uno spettacolo insieme. Anno dopo anno.

Come rinunciare allora di fronte a ricordi cosi’ belli ad un viaggio alla ricerca , seppure sommaria, di come e dove tutto questo ebbe inizio?
Il fumo dei termoregolatori si sta dissolvendo e il panorama intorno a noi e’ decisamente modificato rispetto all’interno freddo e claustrofobico del centro di trasferimento.
Siamo in un quartiere di New York, potrebbe essere il Bronx o Queens, non si riesce certo a capirlo da una rapida scorsa intorno a noi, ma poco importa.

train2C’e’ un po’ di neve sull’asfalto accumulata in mucchi ai bordi della strada e le linee telefoniche si perdono nella prospettiva di pali in legno uniti tra loro da cavi elettrici.

Cio’ che ci colpisce appena usciti della cabina sono, alzando lo sguardo un paio di scarpe da ginnastica annodate ad uno di questi cavi.
E’ un segno di riconoscimento tipico di questo posto: i ragazzi in questo modo demarcano il loro territorio.
Le case sono poche e spoglie prive di finestre o infissi ,quasi capannoni abbandonati costruiti senza le rifiniture di stucco o intonaco ma sul muro di fronte a noi un graffito realizzato con bombolette spray crea una strana dissonanza con lo squallore generale.

Dobbiamo essere arrivati agli inizi degli anni ’80 in un quartiere decisamente povero e privo di risorse; un quartiere pero’ dove nonostante le difficolta’ comuni non si ravvisano segni di razzismo e’ un quartiere multietnico dove afroamericani, spagnoli, bianchi e portoricani coesistono senza problemi.
Ancora non si sono create le “ghettizzazioni” che porteranno a dividere New York in “zone”.
Poi, all’improvviso, da uno di questi capannoni suoni metallici attirano la nostra attenzione e incuriositi decidiamo di entrare.
Lo spettacolo che si presenta ai nostri occhi ci lascia senza fiato: la stanza in cui ci troviamo sembra un mondo completamente diverso rispetto a quello che abbiamo visto all’esterno: qui i graffiti sono la regola e solo piccoli spazi non colorati fanno intuire il colore originale delle pareti.
Sul soffitto attaccate a chiodi arrugginiti file di luci colorate (recuperate sicuramente da qualche addobbo natalizio) risplendono mettendo in evidenza gli sgargianti colori delle pareti.
La sala e’ stracolma di persone che stanno ballando nei modi piu’ disparati e il loro abbigliamento, caratterizzato da un assoluta mancanza di “abbinamenti” lascia presagire che ogni singolo indumento e’ stato scelto esclusivamente per la sua comodita’.

La musica e’ alta ma non infastidisce le orecchie, e forse nemmeno ci facciamo caso affascinati come siamo nel vedere quello che probabilmente da li’ a poco potra’ essere l’inizio della cosiddetta Cultura Hip Hop.
Per terra un telo di linoleum di un paio di metri di lato crea il perimetro attorno al quale come per un intesa comune tutti i ragazzi si dispongono per lasciare al centro una ragazzino magrissimo ma molto alto per la sua eta’.
Noi non possiamo saperlo ma quello e’ Crazy Legs, uno dei principali esponenti ( e creatori ) della Break Dance.
Con una capriola si tuffa di schiena sul pavimento ma sembra che questo non abbia creato in lui il minimo fastidio e poi e’ tutto un roteare di piedi e mani , movimenti che sembrano sfidare ogni legge fisica e i ragazzi intorno a lui applaudono.
Ora e’ il turno dei Fab Four con le loro sequenze perfette ,cordinate al millimetro prive di errori o sbavature.
La musica passa da un brano all’altro in un modo repentino, senza sfumature: non e’ ancora stato inventato quella cosa chiamata missaggio di due brani; si usano due registratori a cassetta e l’abilita’ consiste nel fermarne uno facendo partire l’altro senza interruzioni con una tecnica chiamata “cutting”.

Ora la musica termina ma solo apparentemente perche’ in realta’ sentiamo il ritmo continuare ma il volume e la provenienza non sono quelli di sempre, ci voltiamo e vicino a noi un ragazzo ricrea con il solo uso della sua bocca un perfetto assolo di batteria .
Anche questa invenzione “povera” verra’ poi ribattezzata “beat box Style” ma solo con il passare degli anni.Poi.
Ora questi ragazzi non sanno che con le loro invenzioni, spesso dettate dal semplice desiderio di divertirsi arrangiandosi come possono stanno dando origine ad un fenomeno di massa che dalla fine degli anni 80 in poi si espandera’ dall’America e iniziera’ a contagiare il resto del mondo, arrivando anche alle orecchie di un ragazzino di sedici anni che nel garage di casa sua sentira’ per la prima volta White Lines.

TurntablesE’ ora di ritornare,il tempo a nostra disposizione e’ terminato.

Le immagini davanti a noi sbiadiscono e tutto ritorna avvolto da quella luce giallognola tipica dei teletrasportatori della CETOC .
Il fumo si disperde e noi ritorniamo nella nostra cabina esattamente al punto di partenza.

Anche stavolta riassemblati correttamente dal processore che si occupa di unire ogni singola molecola del nostro corpo nella sua posizione originaria.

Mentre torno a casa circondato dal solito traffico che oramai ha inghiottito questa citta’ ripenso a tante cose della mia vita : oggi ho visto dove e’ nata la passione che cosi’ ferocemente ha conquistato anche me.
Ho capito che il desiderio di non essere rinchiuso in stereotipi o categorie ha sempre prevalso non solo in me ma anche in tutti coloro che hanno riconosciuto in questa “cultura” la possibilita’ di ribellarsi pacificamente a regole e schemi troppo stretti e soprattutto non richiesti ma solo imposti.

Certo, questi discorsi oggi sembrano solo farneticazioni di un vecchio pazzo rimasto incollato al suo passato, e forse e’ davvero cosi’…ma oggi quel passato mi si e’ presentato davanti con la stessa carica inarrestabile di un tempo e mi sono accorto che per me , anche ora nulla e’ cambiato.

Ho solo un rimpianto: non avere piu’ l’eta’ per buttarmi (anche solo per una volta) in una di quelle coreografie cosi’ pazze e impossibili viste dall’esterno ma cosi’ familiari e importanti per ognuno di noi.